
Renè Magritte. La condizione umana ci segnala che la funzione della cornice della finestra non è soltanto decorativa, ma è quella di dare significato agli universi che chiude.
«Misi di fronte a una finestra, vista dall’interno d’una stanza, un quadro che rappresentava esattamente la parte di paesaggio nascosta alla vista del quadro. Quindi l’albero rappresentato nel quadro nascondeva alla vista l’albero vero dietro di esso, fuori della stanza. Esso esisteva per lo spettatore, per così dire, simultaneamente nella sua mente, come dentro la stanza nel quadro, e fuori nel paesaggio reale. Ed è così che vediamo il mondo: lo vediamo come al di fuori di noi anche se è solo d’una rappresentazione mentale di esso che facciamo esperienza dentro di noi»
(R. Magritte)
La condizione umana è il nome di due dipinti realizzati dal pittore belga René Magritte. Il primo di essi risale al 1933 ed è situato alla National Gallery di Washington, mentre il secondo venne realizzato due anni più tardi ed appartiene alla collezione Simon Spierer di Ginevra.
Nel caso che trattiamo l’artista abbandona la tendenza surrealista all’esplorazione dei processi onirici per intraprendere un percorso di conoscenza della realtà oltre l’apparenza immediata, di una realtà contraddittoria e paradossale. Il senso di straniamento che lo spettatore prova davanti ai suoi dipinti è amplificato dalla tecnica pittorica fotografica del pittore.
Nel primo dei due dipinti Magritte rappresenta una tela su un cavalletto davanti una finestra. La tela rappresenta lo stesso paesaggio retrostante, ma contemporaneamente lo nasconde parzialmente.
Il risultato è una perfetta continuità con la porzione di paesaggio rimasta visibile attraverso la finestra. Soltanto il bordo della tela ci segnala l’esistenza di una differenza tra la superficie della tela e il paesaggio.
René Magritte, La condizione umana I, 1933
Nel secondo dipinto notiamo che il cavalletto è posto in modo differente rispetto al primo dipinto. Attraverso questo spostamento il pittore riesce a conferire un taglio, una forma ed una dimensione all’immagine; i tre elementi che guidano lo spettatore durante l’interpretazione dell’opera e, in ultima analisi, nel giudizio della realtà.
René Magritte, La condizione umana II, 1935
Nei due dipinti, il pittore si muove con sottile equilibrio sul confine tra realtà e rappresentazione giocando sul tema del quadro nel quadro, compiendo ciò che possiamo definire una meta-opera.
Se definiamo il segno come rappresentazione di un contenuto, il paesaggio, quello sulla tela e lo stesso nascosto dalla tela, diventa un significante per il quale è necessaria la presenza di un referente affinché il quadro possa esprimere pienamente il proprio significato.
Con questo lavoro, Magritte riflette e ci invita a riflettere sulla relazione esistente tra conoscenza, riproduzione ed esperienza estetica. L’idea del riprodurre e del conoscere attraverso la finestra riconduce al lavoro svolto dal Brunelleschi e da Leon Battista Alberti: riproducendo la realtà, o più specificamente il visibile, attraverso un reticolo geometrico, riuscendo dunque a dare l’illusione della profondità, hanno inaugurato la tradizione dell’alta definizione. Tradizione che ha plasmato un modello di rappresentazione del reale che arriva fino a noi con le windows del nostro computer e i pixel che compongono gli schermi, le finestre, attraverso le quali conosciamo le storie del mondo.
L’autore de La condizione umana mantiene la figuratività fino al “realismo”, ma al tempo stesso fa entrare in cortocircuito l’idea che il senso della raffigurazione consista nel suo essere “copia” e riproduzione fedele dell’originale. Lo spessore della tela ne “La condizione umana”, con la tenda teatrale della finestra, ci segnala il problema della cornice; ci segnala che la funzione della cornice della finestra non è soltanto decorativa, ma è quella di dare significato agli universi che chiude. Con il paradosso che noi, come spettatori, la cornice della finestra dobbiamo al tempo stesso percepirla e non percepirla.